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venerdì 28 dicembre 2012

Sindrome dell’incantevole


E’ difficoltoso stabilizzare la propria mente dopo aver visto volare un’aquila e poi appollaiarsi sulla sommità di un pilastro ai fianchi di un cancello. Come è improbabile che nel centro Sicilia, fra aspre colline e brevi pianure un leone accovacciato scruta l’orizzonte. Diventa incerto il viaggio lungo le nostre campagne quando incontriamo, e senza preavviso, rapaci e felini di qualsiasi dimensione e con atteggiamenti poco rassicuranti. Appare chiaro che la nostra isola è stata colonizzata da animali esotici e non sappiamo valorizzare questa risorsa. Perché mai?  
Bisogna riflettere su questo fenomeno ed avere la capacità di capire cosa succede nella logica di chi ha diffuso nel territorio questi nobili animali; peccato che sono delle semplici statuine malinconicamente installate a guardia di alcune  case  e villini .Il fatto, obiettivamente, rispetto agli anni ’70 è diminuito sensibilmente, ma testimonianze cosiddette “storiche” sono presenti in maniera puntiforme in tutta la Sicilia e non solo.
C’è poco da chiedersi se quelle statuine sostano in un luogo improprio, se l’insieme del micro paesaggio della casa di campagna non ha niente a che fare con l’austerità imperiale dell’aquila, uno squilibrio evidente e stridente con la modestia e la normalità del costruito che la circonda.
L’estrapolazione dell’elemento scultoreo  spesse volte viene mortificato nel suo inserimento nel territorio, fuori da ogni tipologia architettonica, si supera il limite della tradizione entrando nella dimensione del “folk-architettura” dove ostentatamente si vuole esporre un presunto status simbol. 
Ma tutto questo risulta poco importante, a confronto di altri presupposti che sconvolgono l’assetto del paesaggio, piccole limitazioni estetiche che non ne vale la pena di normalizzarle, inezie espressive che non saranno mai prese in considerazione, ma che è opportuno ogni tanto evidenziarle.   

Giovanni Santagati 

lunedì 24 dicembre 2012

Democrazia urbana....Festina Lente: un esempio


Adnan Alagic, Amila Hrustic and Bojan Kanlic sono i nomi dei tre giovanissimi designer che hanno progettato il nuovo ponte pedonale sul fiume Miljacka di Sarajevo. Il Festina Lente, dal latino “Affrettati lentamente”, frutto di un concorso del 2007, si snoda come un nastro a circa 38 metri di altezza al di sopra del fiume e presenta nella sua parte centrale una sorta di nodo che ospita al suo interno delle sedute. Alla base del progetto l'idea di creare un equilibrio tra le rive sinistra e destra del fiume, stabilendo anche un'unione temporale e spirituale tra le due. Il “nodo” ponte rappresenta una porta, simbolica, che predispone ad entrare in un'altra dimensione spirituale.Il ponte, in acciaio, è pavimentato con lastre di alluminio e dotato di tronchi levigati utilizzati come panche. Di notte, la sua forma sinuosa e avvolgente è sottolineata da LED bianchi. Al di là di possibili critiche, riguardante il progetto, mi preme sottolineare, invece, la metodologia applicata dall'amministrazione locale per la progettazione e la realizzazione di una "res pubblica", nella maniera più democratica, ovvero il Concorso, esso appare il metodo migliore per individuare la qualità di un intervento, consentendo di valutare diverse proposte alternative, per scegliere la migliore. L'architettura di oggi è il  patrimonio di domani, i concorsi sono uno dei principali strumenti a disposizione, che realizzano in concreto, il concetto di democrazia urbana.  Sia i grandi progetti, sia i piccoli interventi, hanno la grande potenzialità di trasformare i nostri paesaggi urbani, rivestono un ruolo di primaria importanza nel rinnovamento di un paese, e costituiscono una risorsa per tutta la comunità. Le nostre amministrazioni hanno il dovere di rinnovare le forme di partecipazione, al fine di valorizzare la qualità delle scelte compiute, la rete si pone, dunque, come strumento per divulgare messaggi di democrazia urbana e quindi di architettura.

Carlo Gibiino

venerdì 21 dicembre 2012

Carta canta


L’Italia ha ratificato insieme ad altri nove Stati della Comunità Europea nell’anno 2006 “la Convenzione Europea del Paesaggio”, la quale definisce in maniera univoca la definizione di paesaggio, disponendo con dei provvedimenti in tema di riconoscimento e tutela che gli stati membri si impegnano ad applicare.
La suddetta  convenzione ha definito le politiche, gli obiettivi, la salvaguardia e la gestione relativi al patrimonio paesaggistico nonché la sua importanza culturale, ambientale, sociale e storica quale componente del patrimonio europeo. Il paesaggio è descritto come l'aspetto formale, estetico e percettivo dell'ambiente e del territorio.Pertanto la tutela necessita per indicare l’immagine del territorio poiché esso è costituito da motivi naturali dinamici e in evoluzione con cui l’uomo si correla nel definire una propria immagine nell’area geografica tipica.Il paesaggio si  colloca bene antropologico, culturale e di salubrità in genere. 
A questo proposito mi chiedo se la provincia di Caltanissetta appartiene alla Comunità Europea, visto che la tutela del paesaggio è solo una chimera. Un elemento che provoca l’orribile spettacolo della deturpazione paesaggistica è il “classico” serbatoio per l’acqua potabile posto inevitabilmente sui tetti dei centri storici, denuncia lo squallore e la superfetazione evidente delle nostre città. Il serbatoio veniva prodotto con il colore azzurro, da pochi anni è diventato grigio chiaro, ma no cambia assolutamente niente sempre serbatoio resta.
L’appello dello scrivente è indirizzato a chi deve controllare il territorio, senza condizionamenti di competenze, responsabilità e bla, bla, bla.    

Giovanni Santagati

mercoledì 19 dicembre 2012

RIUTILIZZO E RIPROGETTAZIONE


Il futuro degli edifici è decisamente incerto per tutti; alcuni vengono abbattuti per essere sostituiti da altri più efficienti dal punto di vista tecnologico, energetico e ambientale, altri che conservano in se stessi una memoria storica, che ci ricordano da dove veniamo, chi eravamo, come abitavamo, vengono oggi giustamente ripresi, e riutilizzati in base a nuove esigenze.
Gli spazi si restringono sempre di più, in Giappone, ad esempio, è ormai diventata una chimera, potersi permettere di acquistare un terreno e fabbricare, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista prettamente geografico (non esistono più spazi liberi!!), e chi trova l'occasione(?!) di acquistare 50 mq, e ovviamente se lo può permettere, obbliga progettista e famiglia, a cercare nuove soluzioni per potere abitare in 30mq, (+ 20mq di giardino). Sicuramente una sfida tanto interessante per il progettista, quanto difficile per gli abitanti. 
Qui in Italia, ormai 100 mq, sono diventati troppo piccoli!!!!
E allora che fare?
La conservazione dell'architettura, obbliga o implica la formazione di una nuova professione?
La professione non è sufficientemente preparata per questo nuovo compito, largamente basato sul riutilizzo e la riprogettazione di edifici esistenti. 
"È una necessità impellente ma è certamente poco pianificata nella formazione. È necessario far capire quanto interessante e affascinante possa essere questo tipo di approccio". (Wessel De Jonge, Giornale dell'architettura, Ottobre,2004)
Lo spazio prima o poi finirà, e le soluzioni sono due:
1. la già largamente e ampiamente discussione sulla espansione verticale!;
2. il riutilizzo e la riprogettazione.
Riutilizzo e riprogettazione intesa anche e soprattutto come nuovo stimolo per far fruire a tutta la popolazione intera di beni ormai dimenticati e abbandonati da tutto e da tutti, anche dal tempo.
Nella speranza di superare il concetto di cristallizzazione dell’ Architettura, ci auguriamo che ben presto, le nostre amministrazioni possano riuscire nei favolosi intenti rimasti finora solamente tali.

Carlo Gibiino

lunedì 17 dicembre 2012

Bolla Brutale




Se l’estetica è la sensazione percepita attraverso la mediazione del senso, credo che tale enunciazione risulti dubbia nei confronti di un oggetto che ha sfidato il buon gusto dal 1879 ai nostri giorni.

“La bolla o palla di neve”. Il suo successo si può datare in occasione dell'esposizione universale di Parigi, ove il modellino della torre Eiffel veniva proposto all’interno di una piccola sfera di vetro con  della polvere bianca rendendo la sensazione di una  tormenta di neve, un gadget che fu battezzato  “boule de niege”.
Un piccolo oggetto capace di catturare l’attenzione, per la sua discutibile apparenza, esposta ordinatamente o posta in modo casuale negli ambienti domestici di qualsiasi sorta,  ha suscitato da sempre pareri discordi sulla sua specifica carica estetica. L’ impulso dei suoi colori, la forma e la quasi incorporeità ci trascina nel nostro passato, ci spinge nel vuoto etereo facendoci volare verso la nostra infanzia.
Un oggetto che induce a toccarlo, girarlo e rigirarlo, diventa impalpabile, la sua entità fisica trasparente da la sensazione di entrare in uno spazio ingannevole compresso e infinito, una meraviglia che riaffiora a qualsiasi età.Collezionare le bolle di neve può diventare un rischio in particolare se l’amatore è un architetto, che ne espone più di 100 proprio nel suo studio, una raccolta a tema sulle città del mondo. Il rischio consiste nell’annoverare la mera inutilità espressa nell’evidente pacchianeria e il suo carattere nostalgico nonché il patetico emblema del ricordo (città visitata).La bolla di neve è davvero “brutale” poiché mette in mostra all’interno di essa la forma architettonica di un manufatto più o meno conosciuto e nel contempo provoca uno squilibrio vertiginoso di proporzioni e di cromatismo, sviscera l’essenza del  grottesco.Le sue forme ti incuriosiscono sempre di più, la sfera nei tempi si è trasformata in volumi cilindrici, cubici, piramidali e altre forme inimmaginabili e spesse volte corredati da altri piccoli oggetti con una equivalenza kitsch. Oserò sempre di più, a chiedere ad un amico che ha la fortuna di andare in vacanza in Kenia di portarmi una bolla di neve, sicuro che ritornerà con un ironico sorriso sulle labbra e con grande compiacimento mi renderà ancora una volta sbigottito.

Giovanni Santagati

mercoledì 12 dicembre 2012

Luigi Moretti, l’ultimo dei moderni - parte 2

Casa il girasole






















Nel 1950 l’interesse per le arti e la pittura lo portano a fondare la rivista “SPAZIO” attraverso la quale si propone di ricercare un collegamento tra le diverse forme d’arte (dall’architettura alla scultura, dalla pittura al cinema e al teatro), il cui primo numero, non a caso s’intitolava “ Eclettismo e unità di linguaggio”. La rivista di cui uscirono solo sette numeri, pubblicata fino al 1953, era diretta e redatta dallo stesso Moretti, in essa egli fece confluire i risultati della sua personalissima e incessante attività di ricerca e di studio, pubblicando saggi fondamentali tra cui: “Forme astratte nella scultura barocca”, “Discontinuità dello spazio in Caravaggio” e “Struttura e sequenza di spazi” . Anche l’omonima galleria Spazio di via Cadore 23 a Roma ebbe vita breve, dal 1954 al 1955, sufficiente, però, a consolidare i legami con il mondo artistico internazionale e in particolare con il pittore e critico d’arte Michel Tapié,  con il mondo artistico francese e con i giovani pittori romani. Con Michel Tapié, e con Franco Assetto, nel 1960 fondò l’International Center of aesthetic research (ICAR), luogo di esposizioni, dibattiti e incontri internazionali. Gli anni successivi lo vedono impegnato nella capitale, nella realizzazione di grandi progetti a carattere urbanistico, quali il piano intercomunale e il Parco Archeologico dell’Appia antica, a causa dei quali scoppia un'aspra e mai sanata polemica con l'architetto Bruno Zevi. Nel 1957 riceve il Premio nazionale di Architettura Giovanni Gronchi, istituito dall’Accademia nazionale di San Luca e nello stesso anno,  fonda l’IRMOU (Istituto di ricerca matematica e operativa per l’architettura), allo scopo di divulgare la sua teoria sulla <<architettura parametrica>> volta a essere applicata su basi teorico-matematiche nella progettazione architettonica. L’anno seguente progetta importanti quartieri residenziali: il CEP di Livorno (con P. Barucci, M. Bellucci, R. Fagnoni) e, a Roma, il Villaggio Olimpico (con V. Cafiero, L. Guidi, A. Libera, A. Luccichenti, V. Monaco) con il quale ottiene il premio IN/ARCH 1961 per la migliore realizzazione nella regione Lazio, e il quartiere INCIS di Decima. Riceve significativi riconoscimenti come il Premio Vallombrosa per le attività nel campo della difesa del paesaggio e la Medaglia d’oro per le professioni liberali e l’arte. Grazie ai legami di stima e amicizia con Aldo Samaritani, Moretti diventa consulente della Società generale immobiliare di Roma (SGI), per la quale realizza                                                                                                                  nel 1961 la Stock exchange tower di Montreal un grattacielo in cemento armato, con alcuni progettisti locali e la collaborazione   fondamentale di Pier Luigi Nervi, e il complesso residenziale Watergate di Washington, la realizzazione di queste opere pubblicate un po’ ovunque, lo consacrano come architetto di livello internazionale, Moretti ottiene il Prix d’Excellence: Design Canada 1967 e diviene a honorem membro dell’AIA. Ancora su commissione della SGI realizza a Roma, i due edifici gemelli all’EUR, sedi dell’ESSO e della Società stessa (con V. Ballio Morpugo, G. Quadarella e G. Santoro) e per i quali vince per la seconda volta il premio regionale IN/ARCH 1966 per il Lazio. Tra le opere progettate nel corso degli anni Sessanta, occorre  segnalare a Roma la palazzina San Maurizio a Monte Mario, la nuova sistemazione delle Terme di Bonifacio VIII a Fiuggi, il progetto per il tronco Termini-Risorgimento per la nuova metropolitana di Roma, il ponte Pietro Nenni, con l’ing. Silvano Zorzi e il parcheggio sotterraneo a Villa Borghese, la villa “La Califfa” a Santa Marinella. Nel 1968 oltre a vincere  il premio Antonio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei, ottiene l’incarico di  progettare  il santuario sul lago di Tiberiade, a Tagba in Terra Santa, ma i lavori non iniziano a causa degli eventi bellici scoppiati nella zona tra israeliani e palestinesi. Estende intanto  la propria attività professionale verso altri paesi:   progetta la sede dell'Engineer Club e le Beduin Houses per il Kuwait, per i quali vince il primo premio; in Algeria una serie di scuole e di quartieri residenziali, l’Hotel di  El Aurassi e il complesso Club des Pins, lavori che saranno portati a termine dai suoi collaboratori di studio, gli architetti Giovanni Quadarella e Lucio Causa e l'ingegner Pierluigi Borlenghi. Nel 1971 progetta il centro residenziale sul Potomac ad Alexandria, il centro residenziale a Roquencourt e,a Montreal.Partecipa al convegno internazionale di studi michelangioleschi (1964) con il saggio “Le strutture ideali dell’architettura di Michelangelo e dei barocchi”, che sarà pubblicato due anni dopo e produce un film sulla vita di Michelangelo che riceve il premio “Film d'Arte” alla Biennale di Venezia. Nel 1967 svolge una conferenza all’Accademia nazionale di San Luca su “Le serie di strutture generalizzate di Borromini”. Nel 1968 l’editore De Luca pubblica cinquanta immagini di architetture di Luigi Moretti, con la prefazione di Giuseppe Ungaretti. Nel 1971, allestisce a Madrid, una mostra monografica dei suoi lavori. Il 14 luglio 1973, nel pieno della sua attività, Luigi Moretti muore improvvisamente a causa di un collasso cardiaco, durante una breve vacanza presso l’isola di Capraia.


Giuseppe Garrasi

Bibliografia: Luigi Moretti a cura di Salvatore Santuccio Zanichelli editore 1986.
Foto dell’Archivio Centrale dello Stato, Fondo Luigi Moretti.
Quaderni dell’ACS Luigi Moretti La GIL di Trastevere le sue opere e il suo archivio. Archivio Centrale dello Stato anno 2007.

lunedì 10 dicembre 2012

Progettazione partecipata



La progettazione partecipata affonda le sue radici nel periodo che va tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo ad opera di Patrick Geddes. Nel suo "Cities in Evolution", Geddes teorizza uno strumento di risanamento e pianificazione della città e del territorio in maniera ecologica, generando matrici ove compaiono "luogo", "gente" e "lavoro". Inoltre sperimenterà diverse volte recuperi urbani partecipati.

La partecipazione esprime una volontà generale che si prefigge di attuare principi di giustizia ed equità sociale, i quali permettono di raggiungere importanti obiettivi in termini di qualità efficacia e rappresentatività della progettazione, soprattutto consentono che il piano sia sentito dalla comunità perché contiene le immagini che la comunità locale assegna ai luoghi di vita e di relazione.
Gli elementi che caratterizzano i processi di progettazione partecipata sono:
- la conoscenza locale nei suoi molteplici aspetti culturali ed economici; essa rappresenta il perno dell'analisi territoriale e sociale sviluppata nei progetti di produzione sociale di città e del territorio. Gli abitanti non sono più soggetti passivi, essi divengono soggetti attivi nella progettazione che attraverso una conoscenza specifica dei luoghi e dei problemi, producono un sostanziale salto qualitativo;
- l'ascolto critico, il continuo scambio tra i diversi soggetti del processo progettuale delinea in modo netto i reali fabbisogni, esplicita i desideri inespressi;
- la partecipazione è un laboratorio creativo di comunicazione efficace; 
- infine  i bambini possono essere protagonisti diretti delle nuove esperienze di partecipazione.
Un nuovo approccio alla progettazione urbana, fa assumere ai bambini un ruolo determinante, in quanto portatori di idee, esperienze ed esigenze diverse, fino ad oggi mai ascoltate, potenzialmente molto creative e garanti di una migliore qualità della vita anche per gli adulti. In tale processo diventa fondamentale il rapporto periodico fra bambini, cittadini, associazioni e Amministrazione al fine di realizzare un progetto davvero condiviso. 
Il coinvolgimento delle scuole è quindi di fondamentale importanza!

Carlo Gibiino

giovedì 6 dicembre 2012

Concorso di idee - Design contest 2013

CONCORSO DI IDEE - DESIGN CONTEST 2013


L’Associazione Culturale “Genius Loci Architettura” di Caltanissetta bandisce un concorso di idee di disegno industriale per l’ ideazione e la produzione in serie di una pipa, da realizzare con radica di erica arborea, materiale adoperato dall’Azienda “Amorelli Pipe”. Il concorso intende promuovere la creatività in un settore poco sperimentato, stimolando la cultura progettuale di professionisti, studenti e amatori della pipa.

mercoledì 5 dicembre 2012

Luigi Moretti, l’ultimo dei moderni - parte 1




Luigi Moretti alla scrivania, anni '60-'70
(Archivio Centrale dello Stato, Fondo Luigi Moretti)
Diverse mostre sono state dedicate negli ultimi anni a Luigi Moretti (1906-1973) architetto, figura estroversa di progettista, studioso di vasta cultura e profonda sensibilità il quale, grazie all’importanza di alcune sue opere è da considerarsi uno dei protagonisti della cultura e della ricerca architettonica del Novecento in Italia. Protagonista indiscusso sia durante il fascismo sia in seguito, nel dopoguerra e negli anni Sessanta, mantenne sempre ottimali rapporti con il potere. Proprio i suoi legami con la politica hanno spesso influenzato il giudizio attribuito alla sua carriera, tanto da non riconoscergli il posto che egli riuscì invece a conquistarsi grazie alla sua opera di architetto, intellettuale e uomo di cultura.Moretti durante il periodo fascista realizzò edifici esemplari nei quali l’innovazione formale, planimetrica e strutturale mettono in ombra il loro iniziale intento celebrativo, elevandoli a esempi di architettura razionale, caratterizzati dalla spazialità degli ambienti e dal gioco sapiente dei materiali e della loro potenzialità espressiva. Luigi  Walter Moretti nasce a Roma.  Nel 1929 si laurea con il massimo dei voti e diviene  assistente al corso di Restauro dei monumenti retto da Gustavo Giovannoni. Nel  1931 si occupa di archeologia e assieme a Corrado Ricci, cura la sistemazione dei Mercati traianei. Nel 1932 abbandonata la carriera universitaria, partecipa in gruppo con altri giovani architetti, a una serie di concorsi a carattere sia edilizio sia urbanistico (case popolari a Napoli,  piani regolatori delle città di Faenza, Verona e Perugia) conseguendo il 2° premio. Impegnato in sostituzione del dimissionario Enrico del Debbio, nella direzione dell’ufficio edilizio dell’Opera Nazionale Balilla, denominata poi GIL (Gioventù Italiana del Littorio), Moretti progetta una serie di case della gioventù, nelle quali coniuga abilmente tradizione e modernità volte alla ricerca di una nuova configurazione formale di luoghi e spazi deputati all’organizzazione, all’assistenza e all’educazione fisica e morale della gioventù balilla. A queste, seguirono altri piccoli edifici attraverso i quali si pone all’attenzione dell’opinione pubblica del tempo. Con il successivo progetto per il piano regolatore del Foro Italico,  diviene il principale protagonista della scena architettonica del tempo, in esso, egli realizza alcuni dei suoi capolavori quali l’Accademia di scherma (l’edificio dopo essere stato trasformato in aula giudiziaria del tribunale di Roma,  con gravi manomissioni interne, è stato lasciato in stato di semi abbandono) e la Palestra del Duce entrambe del 1936 e la Cella commemorativa del 1940.
Casa delle Armi al Foro Italico progettata
dall'architetto Luigi Moretti, Roma 1933.
Modello (Archivio Centrale dello Stato,
Fondo Luigi Moretti)
Casa delle Armi al Foro Italico
progettata dall'architetto Luigi Moretti
 Casa delle Armi












 Villa Saracena Santa Marinella 1954 
Le sue opere vengono pubblicate con grande risalto e approfondimento dalla rivista di critica “Architettura”. Partecipa ai grandi concorsi promossi dal Regime, da quelli per il Palazzo del Littorio (1934 e 1937), con un progetto aspramente criticato dalla rivista “Casabella” alla competizione per la Piazza Imperiale oggi Piazza Guglielmo Marconi,  all’E42 (1937), vincendo il concorso ex aequo con il gruppo costituito dagli architetti Muratori, Fariello e Quaroni. In virtù della sua amicizia con esponenti del fascismo, svolse numerosi incarichi privati, tra questi il restauro e la sistemazione ad abitazione per l’allora segretario del partito fascista Ettore Muti, della torre di Porta San Sebastiano. Arrestato nel 1945 per le sue collaborazioni con il fascismo e brevemente rinchiuso nel carcere di San Vittore a Milano, conosce il conte Adolfo Fossataro con il quale,  una volta uscito di prigione, fonda la Cofimprese, società con la quale Moretti realizza tre case albergo, il complesso edilizio  per uffici e abitazioni di Corso Italia a Milano e la palazzina detta del “Girasole” a Roma in viale Bruno Buozzi  in zona Parioli. Quest’ultima è da considerarsi un’opera precoce di architettura post-moderna citata nel saggio di Robert Venturi, 
“Complessità e contraddizione nell’architettura” come esempio di architettura ambigua, in bilico fra tradizione e innovazione. Sciolta la Cofimprese, Moretti tesse rapporti di amicizia con l’alta finanza e per committenti piuttosto in vista come il principe Pignatelli D’Aragona, realizza villa Saracena nel 1954 e villa La Califfa nel 1967 entrambe lungo il litorale laziale nel comune di Santa Marinella in provincia di Roma.

Giuseppe Garrasi


domenica 2 dicembre 2012

Madre Architettura



Dubai, i nuovi mecenati


I personaggi più o meno noti, presentati precedentemente, (Carlo Maria Carafa, Gia Giorgio Trissino, Maria de Medici e Pietro Ottoboni), sono stati classificati nell’ambito della “proto architettura” volutamente scelti come campione di una miriade di mecenati che hanno dato una svolta storica nei confronti della Architettura.  Senza di loro molto probabilmente diverse opere non avrebbero segnato le epoche e gli uomini che serbavano il loro genio non avrebbero guadagnato “l’immortalità”.  

Personaggi più o meno noti, che per il loro amore verso l’arte, o per i loro interessi, o forse narcisisti, o ancora consapevoli che il loro potere si rafforzava nel nome della cultura.
Una schiera di artisti mancati che ricercavano il “mezzo” per arrivare alla soddisfazione di completarsi, o sinceri e onesti uomini che nel loro riserbo  erano coscienti di costruire enfaticamente testimonianze di un’arte complessa, nobile  e madre come l’Architettura.
La storia dell’arte ci fa conoscere  con opportune velature il ruolo del mecenate, che in molti casi affiora come una figura estremamente ricca, colta e potente.
Sono sicuro che il mecenate di prima e di sempre è stato e sarà, consapevole, che il suo investimento nei confronti dell’architetto, mira ad un ritorno  rivalutativo della propria identità.   
Il mecenate molto presente nei tempi passati, aveva quindi una funzione ormai consolidata nelle città e nella geografia politica, che era quella del potere.
Le volontà nel costruire grandi monumenti architettonici sono stati distinti da nomi blasonati appropriandosi  il pretesto e l’emblema del “nullus locus sine Genio” (nessun luogo è senza un Genio) nelle circostanze interpretato e rivolto all’architetto, una locuzione di  genio che accettava compromessi o entrava in conflitto con essi ?
Una dicotomia tra il potere e il sapere, che si è trascinata nei secoli arrivando ad una metamorfosi silenziosa e latente nei nostri giorni, sviluppandosi e manifestandosi in una commistione politicizzata dove il mecenate resta nella invisibilità e riappare inaspettatamente nel tuo televisore, monitor, tablet ecc...

Giovanni Santagati